Mese: Gennaio 2020

  • Il discorso della senatrice Liliana Segre al Parlamento Europeo

    Il discorso della senatrice Liliana Segre al Parlamento Europeo

    Ieri la senatrice a vita Liliana Segre, deportata di Auschwitz, è intervenuta presso il Parlamento Europeo in occasione della commemorazione delle vittime dell’Olocausto.


  • Taranto, fiamme e fumo all’ex Ilva: i cittadini presenteranno un esposto in Procura

    Taranto, fiamme e fumo all’ex Ilva: i cittadini presenteranno un esposto in Procura

    Domenica 26 gennaio, alcuni cittadini di Taranto hanno denunciato la presenza di fiamme e fumo intorno al centro siderurgico della città. Alle immagini impressionanti si aggiungeva l’insopportabile odore acre del gas.

     

    Fonti ArcelorMittal hanno spiegato: “il gas prodotto dalle batterie coke e normalmente stoccato nei gasometri di stabilimento veniva bruciato in torcia. L’apertura delle torce si rendeva necessaria per eccessivo riempimento dei gasometri dedicati. L’accensione durava circa 15 minuti. Appena bilanciata la rete, le torce sono state spente. Si tratta di una procedura che rientra nella normale gestione della rete. I valori di riferimento Aia non sono stati superati. Non si registrano problemi di alcuna natura“.

    I cittadini vogliono vederci chiaro sull’accaduto 

    I cittadini hanno deciso di presentare un esposto in Procura in merito all’emissioni di domenica sera.
    Il fondatore di VeraLeaks.org, Luciano Manna ha affermato: “ L’azienda dichiara palesemente il falso! Sostengono di aver acceso le torce per circa 15 minuti quando queste sono rimaste accese per circa due ore saturando l’aria di gas combusti ed avvelenandoci i nostri polmoni. Inoltre l’azienda dichiara, sempre in merito a qesta emissione, di aver rispettato i parametri AIA! Quali parametri? Riferiti a quale inquinante e a quale punto emissivo? E qual è il numero della portata di gas convogliata in torcia? ArcelorMittal questo non lo dichiara. Dovranno dirlo alla Procura!“.

    Immagine di copertina: Maria Aloisio






  • “Qui ci sono ebrei”: la scritta antisemita apparsa sulla porta della casa di una deportata politica

    “Qui ci sono ebrei”: la scritta antisemita apparsa sulla porta della casa di una deportata politica

    A pochi giorni dalla giornata della Memoria, nella notte tra il 23 e 24 gennaio,  a Mondovì sulla porta della casa di Lidia Beccaria Rolfi, partigiana e deportata a Ravensbruck nel 1944, è apparsa questa scritta antisemita “Qui ci sono ebrei”
    Il quella casa oggi abita il figlio, Aldo Rolfi, che aveva ricordato la madre morta nel 1996, su un giornale locale.

     

    Lidia Beccaria Rolfi

    Lidia Beccaria Rolfi è nata a Mondovì l’8 Aprile del 1925 in una famiglia di contadini, ultima di cinque fratelli. Lidia fu l’unica che proseguì gli studi.

    Con lo scoppio della guerra, i suoi due fratelli furono inviati al fronte russo, dove tornarono illesi. I loro racconti rivelarono le sofferenze dei soldati e le atrocità  dei tedeschi nei confronti della popolazione. 

    A diciotto anni  divenne staffetta partigiana nella XV Brigata Garibaldi “Saluzzo”.Il 13 marzo  1944 fu arrestata dalla Guardia Nazionale Repubblicana dove fu torturata per un giorno e una notte, successivamente venne ceduta alla Gestapo e poi imprigionata per un breve periodo a Saluzzo per essere poi trasferita alle carceri Nuove di Torino.

    Tra il 25 e 26 giugno venne caricata su un carro di bestiame insieme alle altre prigioniere. La sera del 30 giugno il treno si fermò alla stazione di Furstenberg, nel Meckleburgo.  Lidia insieme alle sue 13 compagne entrarono nel campo di concentramento di Ravensbruck, l’unico lager nazista per sole donne. 

    Il 30 aprile 1945 i russi liberarono le prigioniere e le affidarono agli americani. Ma da quel momento iniziava un altro momento di sofferenza per Lidia e le prigioniere. Gli americani e gli inglesi si dimostrarono ostili nei confronti delle deportate politiche, abbandonandole a se stesse. 

    Ritornata in Patria, viveva isolata e le fu negato il diritto di insegnare. Quando riprese l’insegnamento veniva vista con una certa diffidenza e controllata dalle autorità scolastiche per il suo passato da partigiana e deportata. 

    Nonostante i segni della prigionia, dopo il conseguimento della laurea, Lidia iniziò a raccontare nelle scuole la sua esperienza. Ed è grazie a lei se oggi conosciamo la realtà di Ravensbruck  e il destino di migliaia di donne deportate.