Indice dei contenuti
A cinque anni dalla firma del Memorandum d’intesa Italia-Libia, non è stato fatto alcun passo avanti sulla tutela dei diritti umani dei migranti. Negli ultimi cinque anni sono state oltre 82.000 le persone intercettate in mare e riportate in Libia nei centri di detenzione. Solo nel 2021 i guardacoste libici, col sostegno di Italia e Unione europea, hanno catturato in mare 32.425 rifugiati e migranti, il numero più alto finora registrato. In questi cinque anni, più di 8 mila persone hanno perso la vita lungo la rotta del Mediterraneo centrale; 1.500 – di cui 43 bambini – nel 2021.
Cosa prevede il Memorandum Italia-Libia
Il Memorandum Italia- Libia è stato firmato il 2 febbraio nel 2017 dall’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dal primo Ministro del governo di riconciliazione nazionale libico al-Serraj. L’accordo regola tutt’oggi la politica tra i due paesi in tema d’immigrazione e sbarchi, nella fattispecie l’Italia addestra ed equipaggia le autorità libiche, mentre quest’ultime intercettano le persone in mare e le riportano in Libia nei centri di detenzione dove subiscono torture e stupri.
Il Memorandum scadrà nel novembre 2023, ma rischia di essere prorogato per la seconda volta se le autorità italiane non lo annulleranno entro il 2 novembre 2022.
La Libia non è un porto sicuro
Come è stato riconosciuto dalle organizzazioni internazionali, la Libia non è un luogo sicuro per far sbarcare le persone che stanno in mare, perchè è un Paese instabile e non vengono garantiti i diritti umani.
Numerose inchieste giornalistiche e relazioni delle organizzazioni internazionali hanno denunciato il deterioramento delle condizioni di detenzione dei migranti in Libia, dove vengono consumati abusi, sommarie esecuzioni, torture e sparizioni forzate.
In una relazione del 17 gennaio 2022 il segretario generale delle Nazioni Unite si è dichiarato “gravemente preoccupato” per le continue violazioni dei diritti umani contro i migranti e i rifugiati in Libia, tra cui violenze sessuali, traffico di esseri umani ed espulsioni collettive. Il rapporto ha ribadito che “la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco di migranti e rifugiati” e ha ribadito la richiesta agli stati membri coinvolti di “rivedere le politiche che favoriscono gli intercettamenti in mare e il ritorno dei migranti e dei rifugiati in Libia”. Il rapporto ha anche confermato che i guardacoste libici continuano a operare con modalità che pongono in grave pericolo le vite e la salute dei migranti e dei rifugiati che cercano di attraversare il mar Mediterraneo.
Quanto costa all’Italia il Memorandum con la Libia
Dalla firma dell’accordo l’Italia ha speso 962 milioni di euro per bloccare i flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed europee. Una parte di questi soldi, più di 271 milioni di euro – sono stati spesi in missioni nel paese, contribuendo a determinare le condizioni per una maggiore lucrosa industria della detenzione, fatta di tratta di esseri umani, sequestri, abusi di ogni genere. “Il nostro Paese continua a rendersi complice, finanziando la Guardia Costiera o altre autorità libiche palesemente conniventi con i trafficanti di esseri umani”. – ha detto Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia.
I crimini di guerra e le responsabilità italiane e maltesi
Il 17 gennaio 2022 le Ong Adala for All, SraLi e UpRights hanno depositato un esposto alla Corte Penale Internazionale in merito ai crimi commessi in Libia tra il 2017 e il 2021 contro migliaia, migranti, rifugiati, tra cui donne e bambini, intrappolati nei centri di detenzione. L’esposto chiede alla CPI di esaminare anche le possibili responsabilità penali, non solo degli attori libici, ma anche delle autorità italiane e maltesi.
Il 28 aprile 2022, nel corso di una regolare informativa al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione in Libia, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) ha riferito che i crimini commessi contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra e cadere all’interno della giurisdizione della CPI.