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  • Legambiente: “In Italia da gennaio a luglio 2022 si sono verificati 132 eventi climatici estremi”

    Legambiente: “In Italia da gennaio a luglio 2022 si sono verificati 132 eventi climatici estremi”

    Non è possibile ricondurre l’alluvione nelle Marche solo al cambiamento climatico, perchè servono una serie di studi. Tuttavia da tempo gli scienziati sono concordi sul fatto che il cambiamento climatico renderà sempre più frequenti gli eventi estremi come la siccità, le alluvioni, le esondazioni.

    Da gennaio a luglio 2022 si sono registrati in Italia 132 eventi climatici estremi, il numero più alto della media annua dell’ultimo decennio. E’ quanto emerso dall’aggiornamento della mappa del rischio climatico redatta da Legambiente. Pertanto l’Italia è sempre più soggetta ad eventi climatici estremi. Bombe d’acque, trombe d’aria, ondate di calore, forti siccità, grandinate sono ormai in forte aumento, colpendo soprattutto le aree urbane e causando danni ai territori, alle città ed alla salute dei cittadini. 

    Preoccupante è anche il dato complessivo degli ultimi anni: dal 2010 a luglio 2022 nella Penisola si sono verificati 1318 eventi estremi. Gli impatti più rilevanti in 710 comuni italiani. Nello specifico in questi anni si sono registrati 516 allagamenti da piogge intense, 367 danni da trombe d’aria, 157 danni alle infrastrutture da piogge, 123 esondazioni fluviali (con danni), 63 danni da grandinate, 55 danni da siccità prolungata, 55 frane da piogge intense, 22 danni al patrimonio storico, 17 temperature estreme in città/ondate di calore.

    Tuttavia l’Italia continua ad essere l’unico dai grandi paesi europei ad essere sprovvisto di un piano nazionale di adattamento al clima in bozza dal 2018. Di conseguenza rincorre l’emergenze senza alcuna strategia di medio-lungo periodo.

    “Se non si interviene al più presto, rischiamo nei prossimi anni sia un disastroso impatto sociale ed economico, oltre che ambientale, sia di sprecare anche le risorse del PNRR. Servono cambiamenti strutturali, politiche innovative, investimenti in tecnologie pulite e un piano nazionale di adattamento al clima non più rimandabili. Senza dimenticare che va aggiornato anche il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) ai nuovi obiettivi europei di riduzione di gas climalteranti del RepowerEU, va applicato un taglio radicale dei tempi di autorizzazione dei nuovi impianti a fonti rinnovabili e va prevista una procedura semplificata per il rinnovo e il potenziamento di quelli esistenti”.ha dichiarato Stefano Ciafani, vice-presidente di Legambiente.

    Il problema del dissesto idrogeologico

    Non dimentichiamoci che l’Italia è anche un Paese ad alto rischio di dissesto idrogeologico. Secondo l’Ispra il 94% dei comuni italiani è a rischio frane, alluvioni ed erosione concreta. Oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità.

    Nel 2021, oltre 540 mila famiglie e 1.300.000 abitanti vivono in zone a rischio frane (13% giovani con età >15 anni, 64% adulti tra 15 e 64 anni e 23% anziani con età > 64 anni), mentre sono circa 3 milioni di famiglie e quasi 7 milioni gli abitanti residenti in aree a rischio alluvione. Le regioni con i valori più elevati di
    popolazione che vive nelle aree a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna (quasi 3 milioni di abitanti a rischio), Toscana (oltre 1 milione), Campania (oltre 580 mila), Veneto (quasi 575 mila), Lombardia (oltre 475mila), e Liguria (oltre 366 mila).

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  • La storia del nucleare in Italia

    La storia del nucleare in Italia

    In queste settimane il tema del nucleare è tornato nel dibattito elettorale, soprattutto in relazione al caro bollette, che sta mettendo in grande difficoltà le imprese e  le famiglie.

    Il passato nucleare dell’Italia

    Il primo impianto nel nostro paese fu ultimato nel maggio del 1963. Fu realizzato a Borgo Sabotino, una frazione di Latina ed era dotato di un unico reattore Magnox da 160 MW e lordi. All’epoca, era l’esemplare più forte a livello europeo. Dopo otto mesi venne realizzato il secondo reattore a Sessa Aurunca, provincia di Caserta. Mentre nel 1964 avvenne l’accensione  dell’impianto di Trino, nei pressi di Vercelli.

    Nel 1966 l’Italia divenne così il terzo paese produttore al mondo dopo USA e Regno Unito. E nel 1975 venne varato il PEN (Piano Energetico Nazionale), al fine di sviluppare l’elettronucleare.

    I primi dubbi sul nucleare

    Negli anni ’80 nacquero i primi dubbi, soprattutto in termini di sicurezza. Il decennio fu caratterizzato da un dibattito seguente all’incidente di Three Mile Island  del 1979. Seguì un altro incidente come quello del 1985 alla centrale ucraina di Černobyl’, tutt’ora considerato come il più grave a una centrale nucleare.

    Referendum abrogativi

    Alla luce di questi gravissimi eventi, nel 1987 gli italiani vennero chiamati  a esprimersi su 3 quesiti inerenti le centrali nucleari. In particolare sulla localizzazione delle centrali, sui contributi ai comuni ospitanti e  sul divieto di partecipazione di Enel a impianti nucleari all’estero. La vittoria fu quella del si con un’affluenza di circa l’80%.

    Tra il 1988 e 1990 i Governi Goria, De Mita e Andreotti  abbandonarono l’esperienza del nucleare in Italia con la chiusura di Latina, Trino e Caorso. Per rimediare Per rimediare alla mancata produzione nucleare si procedette con l’incremento d’uso di carbone, gas e combustibili. Aumentarono anche le importazioni mentre, successivamente, si aumentò la produzione del gas.

    Nei primi anni del nuovo millennio Eni iniziò a reinvestire nella tecnologia del nucleare. Tra il 2008 e il 2009 si ebbe un aumento dei prezzi di gas e petrolio. L’allora ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, propose la costruzione di dieci nuovi centrali. La produzione si sarebbe dovuta affiancare con quella delle fonti rinnovabili, in modo da ridurre il dannoso fossile.

    Nel 2008 fu definita la Strategia energetica nazionale, il quale subì il ricorso di tre regioni. Vennero stabilite le procedure amministrative, i tempi e i costi delle opere. Ma nel 2009 la legge fu impugnata  da dieci regioni, il quale ricorso fu successivamente rigettato.

    Nello stesso anno, l’allora governo Berlusconi firmò con la Francia un nuovo accordo sulla costruzione di quattro nuovi impianti nucleari da parte dell’Eni con la collaborazione di Edf. La prima centrale sarebbe stata completata entro il 2020. Dopo due anni fu firmato un simile accordo con gli Stati Uniti.

    Un nuovo referendum del 2011 e la fine del nucleare in Italia

    Nel 2011 si tenne un altro referendum.  Il tema sul nucleare raggiunse il quorum e la percentuale di sì, si attestò al 94,05% decretando la chiusura del programma. Il risultato fu influenzato soprattutto dall’incidente di Fukushima Dai-ichi del marzo 2011, con esplosioni alla centrale che provocarono il terremoto e maremoto. Con l’esito del referendum l’Italia abbandonò in modo irreversibile  il nucleare.

    APPROFONDISCI ANCHE: La Commissione europea inserisce il gas e il nucleare nella tassonomia 

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    Fonte: https://fornitori-luce.it/

    Ansa


  • Violenza domestica: la Cedu condanna lo Stato italiano per la terza volta in un anno

    Violenza domestica: la Cedu condanna lo Stato italiano per la terza volta in un anno

    La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha nuovamente condannato l’Italia perchè  le autorità non hanno agito per proteggere una signora, Silvia de Giorgio, dall’ex marito violento. Si tratta delle terza condanna  in un anno.

    Il caso

    Tra il 2015 e il 2019, Silvia de Giorgio, ha denunciato 7 volte il marito, da cui era separata dal 2013, per averla minacciata di morte, colpita con un casco, averle messo telecamere in casa, perseguitata, seguita e molestata, per non aver pagato gli alimenti e aver maltrattato i tre figli. Nonostante tutto questo, i magistrati non hanno ritenuto di dover intervenire, lasciando soli la donna e i suoi figli.  “Nell’archiviare parzialmente la denuncia della donna, nel 2017 il GIP di Padova osservava che le dichiarazioni del ricorrente non erano sufficientemente credibili alla luce dell’acuto conflitto tra le parti.”
    “Nel febbraio 2018, dopo che i servizi sociali avevano denunciato i maltrattamenti subiti dai minori (che la ricorrente aveva più volte denunciato) non erano stati avviati atti di indagine e i minori non sono stati ascoltati”

    Nella sentenza dei giudici di Strasburgo si legge che «le autorità non hanno agito con la prontezza e diligenza richiesta in casi di questo genere».  Inoltre, si critica il fatto che diversi processi per reati commessi contro la signora, si sono conclusi con la prescrizione. Alla donna è stato riconosciuto un indennizzo di 10 mila euro.

    È una sentenza esemplare che, purtroppo, conferma la nostra posizione. Non è più possibile far giudicare situazioni di violenza maschile alle donne a chi neanche la riconosce. La testimonianza delle donne non è sufficiente, neppure quando avvalorata dalle Forze dell’Ordine, dal Servizio Sanitario o dai Servizi Sociali. Le sentenze di condanna si accumulano e le donne continuano a essere lasciate in balia dei maltrattanti da uno Stato che – pur avendo un buon sistema legislativo – ancora non agisce perché le leggi siano attuate dal sistema giudiziario” Dichiara Antonella Veltri, Presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “Anche in questo caso è mancata la corretta valutazione del rischio, come dichiara la stessa Corte, e la corretta lettura della violenza che è stata interpretata invece come elevata conflittualità. Lo ripetiamo da troppo che la via da percorrere è la formazione dei magistrati. Non possiamo più aspettare”.

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